Indice: 1. Premessa – 2. Il ruolo del valutatore secondo gli IVS e i PIV – 2.1 Rispetto dell’etica professionale – 2.2 Il requisito dell’indipendenza – 2.3 L’oggettività nella selezione delle informazioni – 2.4 La competenza e la diligenza nello svolgimento dell’incarico
1. Premessa
Gli standard di valutazione nazionali e internazionali si sono ampiamente soffermati sul ruolo del valutatore, sui requisiti etici e professionali che lo devono caratterizzare e sulla tipologia di incarico che è tenuto ad adempiere a seconda delle circostanze.
In questo contributo sono presi in esame gli International Valuation Standards (IVS) emanati dall’International Valuation Standards Council (IVSC) e i Principi Italiani di Valutazione (PIV) statuiti dall’Organismo Italiano di Valutazione (OIV).
In entrambi i principi è dedicata un’ampia parte al ruolo del professionista incaricato di effettuare la valutazione e alla modalità di svolgimento dell’incarico, in funzione della finalità del processo di stima.
2. Il ruolo del valutatore secondo gli IVS e i PIV
Secondo l’IVSC il valutatore è “an individual, group of individuals or a firm who possesses the necessary qualifications, ability and experience to execute a valuation in an objective, unbiased and competent manner”.
Poiché la valutazione deriva da un giudizio motivato che si fonda su stime e non è mai l’applicazione di un mero calcolo matematico, l’esperto non deve soltanto essere in grado di “applicare le formule”, ma deve possedere un insieme più ampio di requisiti, quali:
- il rispetto dell’etica professionale;
- l’indipendenza;
- l’oggettività nella ricerca e nella selezione di informazioni;
- la competenza e la diligenza nello svolgimento dell’incarico.
2.1 Rispetto dell’etica professionale
Il rispetto dell’etica professionale si manifesta attraverso l’aderenza a una serie di valori, che sono ben sintetizzati nel “Code of Ethical Principles for Professional Valuers” emanato dallo stesso ISVC e ripreso dai PIV nella sezione I.3.1.
Secondo l’ISVC, un esperto (“professional valuer”) è tenuto ad attenersi ad i seguenti principi:
- integrità;
- obiettività;
- competenza;
- riservatezza;
- comportamento professionale.
L’integrità si sostanzia nell’essere trasparenti e irreprensibili nelle relazioni professionali. Come correttamente enunciato nei PIV, “l’esperto non deve essere guidato da altro che il proprio giudizio informato, il rispetto del mandato del committente le norme amministrative e/o di legge, il codice etico-professionale e i principi di valutazione”.
Il mancato rispetto dell’integrità può dare luogo a responsabilità che possono ricadere sull’esperto sul piano disciplinare, civile e penale.
Sul piano disciplinare, si ricorda che, nel caso in cui l’esperto sia un dottore commercialista od esperto contabile, il mancato rispetto del Codice Deontologico costituisce violazione punibile con le sanzioni previste dalla legge “proporzionate alla gravità della violazione e alle conseguenze dannose che possano essere derivate dalla medesima”.
Sul piano civilistico sussiste l’obbligo dell’esperto di risarcire i terzi degli eventuali danni causati dal suo operato, così come indicato dall’art. 64 c.p.c. e dagli artt. 1218, 1176 e 2043 e ss. c.c. In particolare, si ricorda che proprio l’art. 64 c.p.c. è espressamente richiamato sia ai fini del conferimento (art. 2343 c.c.), che della relazione sulla verifica della congruità del concambio (art. 2501-sexies c.c.).
Sul piano penale, infine, possono individuate variegate fattispecie di reato e casi di colpa grave, regolati dal già richiamato art. 64 c.p.c.
Nello specifico, un esperto può ricadere nel reato di falsa perizia (art. 373 c.p.) quando: nasconde la sua incompetenza; nasconde la sua incapacità naturale o legale nel redigere la perizia; tace la sua condizione d’incompatibilità o di ricusabilità; non si attiva nelle indagini necessarie; non fornisce determinati elementi di valutazione; riporta fatti non rispondenti al vero.
La frode processuale (art. 374 c.p.) si manifesta invece quando, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il Giudice in un atto d’ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il Perito nell’esecuzione di una perizia, viene mutato artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone.
L’obiettività si sostanzia nella volontà di non consentire conflitti di interesse, indebite influenze o pregiudizi. Fermo restando quanto appena delineato in tema di responsabilità in sede disciplinare, civile e penale, i PIV ricordano che “la valutazione deve seguire un processo razionalmente spiegato che conduca a un giudizio informato di valore in forma chiara, motivata, non ambigua e esente da distorsioni”.
Una lettura superficiale potrebbe rilevare una incongruità tra il presupposto del processo valutativo, cioè l’obiettività, e il risultato del processo valutativo, ovvero un giudizio, che per sua natura sostanziale e filologica sottintende un certo grado di soggettività. Tale inevitabile dicotomia deve trovare una un suo equilibrio tra l’esigenza di ricondurre l’intero processo valutativo a un percorso razionale e dimostrabile e l’inevitabile soggettività connaturata a qualsiasi stima.
Il concetto di obiettività è dunque strettamente legato a tre profili: la verificabilità, la neutralità e l’imparzialità.
Anzitutto il lavoro svolto dall’esperto deve essere verificabile, in quanto un impianto metodologico coerente e ripercorribile autonomamente da un terzo costituisce un presupposto di neutralità.
La neutralità attiene all’indipendenza di giudizio, ovvero all’attitudine del professionista di operare in assenza di conflitti di interessi e di condizionamenti, se non quelli derivanti dalla sua esperienza pregressa e che costituiscono il suo patrimonio di competenze.
Infine, l’imparzialità si sostanzia nella volontà di ricercare il valore più obiettivo, al fine di adempiere al meglio all’oggetto dell’incarico, mantenendo una posizione di equidistanza, che deve essere particolarmente enfatizzata qualora il professionista operi nelle vesti di consulente di ufficio o, in generale, di arbitro. In tale caso è del tutto evidente che egli debba illustrare e rappresentare, come suggerito dai PIV, “in forma imparziale tutti gli elementi positivi e negativi che influenzano il giudizio di stima”.
Anche laddove il professionista operi a beneficio di una parte, non deve perdere di vista un’obiettiva lettura dei fatti, per potendo valorizzare gli elementi che contribuiscono a rafforzare la posizione della parte che gli ha attribuito l’incarico.
La competenza consiste nel mantenere le conoscenze e le capacità professionali necessarie per assicurare al cliente un servizio improntato alle best practices e ai più consolidati orientamenti dottrinali. I PIV, a questo riguardo, chiariscono che la competenza attiene “alle conoscenze tecniche ed all’esperienza del professionista rispetto all’oggetto della valutazione e del mandato ricevuto”.
La competenza tecnica e professionale riguarda pertanto tre profili:
- la capacità di identificare appropriatamente il problema valutativo;
- la conoscenza e l’esperienza per svolgere l’incarico in forma competente;
- la conoscenza di leggi e regolamenti da applicare nell’incarico.
Da un punto di vista sostanziale non esiste una “patente” di competenza rilasciata in ambito valutativo. Tendenzialmente vi è la presunzione che un soggetto iscritto all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e/o al registro dei revisori annoveri nel proprio bagaglio culturale adeguate conoscenze su queste tematiche, in quanto fanno parte dell’esame di abilitazione. Ciononostante, l’iscrizione a un albo o a un registro non costituisce un requisito sufficiente, in quanto la competenza deriva dall’esperienza e dall’attitudine ad aggiornarsi su temi che negli ultimi sono stati oggetti di ampio dibattito, anche per le maggiori e frequenti ricadute che gli aspetti valutativi producono sul bilancio, in parte ai fini OIC e, in parte più rilevante, ai fini IFRS.
Accanto alla competenza professionale vi è poi una competenza che possiamo definire “tecnologica”. Sempre più frequentemente oggi è necessario disporre di dati affidabili, che richiedono investimenti in banche dati e, talvolta, in software di analisi.
La riservatezza concerne il rispetto della privacy in ordine alle informazioni acquisite e l’impegno a non divulgarle senza un’autorizzazione espressa, né a utilizzarle a vantaggio personale o di terzi. Al di là delle sanzioni a cui sono soggetti i professionisti che diffondono dati sensibili o informazioni rilevanti, è un dovere morale assicurare la massima riservatezza.
Il comportamento professionale, infine, si esplica in un’ampia varietà di comportamenti. Generalizzando, si può affermare che esso consiste nell’agire diligentemente e predisporre il proprio parere in modo tempestivo, in conformità ai requisiti richiesti e sulla base dei più adeguati standard tecnici e professionali. Un tema interessante, per quanto concerne il piano etico-comportamentale, riguarda le modalità di determinazione del compenso, che non devono minare l’indipendenza dell’esperto e violare i principi etico-professionali. In tal senso i PIV, nel fornire alcune esemplificazioni di comportamenti da evitare, puntualizzano che il compenso non dovrebbe essere:
- basato su una percentuale della conclusione di valore cui perviene l’esperto;
- condizionato al raggiungimento di uno specifico valore;
- basato sul verificarsi di una conseguenza della valutazione.
2.2 Il requisito dell’indipendenza
Il valutatore deve assicurare l’indipendenza con riferimento al tipo di incarico ricevuto. Secondo l’IVSC il valutatore deve emettere giudizi imparziali sull’affidabilità dei dati e delle ipotesi fattuali. Affinché una valutazione sia credibile, “è importante che quei giudizi siano espressi in un contesto che promuova la trasparenza e minimizzi l’influenza di qualsiasi fattore soggettivo sul processo valutativo”.
I PIV ricordano infatti che “alcune attività professionali per loro natura rivestono interesse pubblico. Le valutazioni ricadono tra queste attività”; l’esperto deve dunque rispettare “una generale obbligazione di professionalità nei confronti del pubblico generale, come terza parte beneficiaria del proprio lavoro”.
Nelle valutazioni effettuate a beneficio di una parte, invece, pur nel rispetto dei requisiti di obiettività e diligenza, come già ricordato, possono essere valorizzati aspetti nell’interesse di chi ha conferito l’incarico. I PIV, in tal caso, raccomandano che “nel caso in cui un esperto operi come consulente e non invece come esperto indipendente deve chiaramente dichiarare questo suo ruolo nella propria relazione”. In generale, la presenza di conflitti di interesse diretti o indiretti deve essere segnalata, precisando i motivi per cui il valutatore ritiene che essi non siano di impedimento allo svolgimento dell’incarico.
Talvolta i conflitti di interesse non sono palesi al momento di assunzione dell’incarico, ma possono manifestarsi successivamente. Il valutatore deve pertanto verificare la propria indipendenza anche nelle fasi successive, per tutta la durata del suo mandato.
2.3 L’oggettività nella selezione delle informazioni
Il valutatore deve garantire oggettività nella ricerca e nella selezione delle informazioni. Come ben sintetizzato nei PIV, “la valutazione è un giudizio informato, sostenibile e ragionevole. Obiettivo dell’esperto è formarsi un’opinione sostenibile di valore attraverso un processo appropriato in relazione all’incarico ricevuto”. Conseguentemente “la valutazione deve seguire un percorso razionalmente spiegato che conduca a un giudizio informato di valore in forma chiara, motivata, non ambigua ed esente da distorsioni”.
L’esperto, nello svolgimento dell’incarico, può acquisire informazioni dalla società, da terzi, da enti di ricerca, da banche dati. In tutti i casi egli deve indicare la fonte da cui ha tratto le informazioni e deve distinguere i fatti dalle opinioni personali. I PIV ricordano a questo riguardo che “l’esperto non può fare riferimento a modelli valutativi proprietari per evitare una adeguata verificabilità delle fasi e dei contenuti e delle fasi del proprio lavoro”.
Ad esempio, nell’applicazione del metodo dei multipli, il valutatore ha una certa discrezionalità nella selezione del campione: tale discrezionalità non deve manifestarsi in un giudizio arbitrario, ma deve essere guidata da una metodologia coerente che porti a selezionare i comparables sulla base di dati effettivamente omogenei.
2.4 La competenza e la diligenza nello svolgimento dell’incarico
La competenza e la diligenza nello svolgimento dell’incarico consistono infine nella capacità di individuare il metodo di valutazione più opportuno rispetto alle finalità dell’incarico e di applicarlo correttamente, in aderenza agli standard di valutazione. Secondo l’IVSC “se un valutatore non possiede tutte le competenze tecniche, l’esperienza e le conoscenze necessarie per eseguire una valutazione, è auspicabile che il valutatore richieda l’assistenza di specialisti in relazione a specifici aspetti dell’incarico, a condizione che ciò sia divulgato nell’ambito del lavoro”.
Ad esempio, la valutazione di un’impresa che opera nel settore delle energie rinnovabili o nel trattamento dei rifiuti richiede la conoscenza delle leggi nazionali e locali che regolamentano questi aspetti. Qualora il valutatore non disponga di tali conoscenze, può farsi affiancare da un esperto del settore. Oppure, qualora il processo valutativo abbia ad oggetto assets la cui valorizzazione esula dalle competenze dell’esperto, questi può richiedere di essere assistito da esperto di quello specifico ambito, con l’obbligo di verificare l’adeguatezza dei risultati, nei limiti delle proprie possibilità e della propria scienza.