Analisi di bilancio

Analisi del bilancio delle imprese in crisi

L’analisi delle imprese in crisi richiede una serie di avvertenze nell’utilizzo degli indicatori di bilancio, in quanto i rapporti di causa effetto tendono ad essere alterati rispetto ad una fase di fisiologia. Nel contributo è presa in esame una guideline che approfondisce la lettura delle tre dimensioni del bilancio: patrimoniale, economica e finanziaria.

Indice: 1. Manifestazione della crisi e ruolo dell’analisi di bilancio2. L’analisi delle prospettive3. La prospettiva patrimoniale3.1 L’analisi della liquidità nelle imprese in crisi3.2 L’analisi della solidità nelle imprese in crisi3.3 Gli indicatori da monitorare a livello patrimoniale4. La prospettiva economica4.1 L’impatto della crisi sugli indicatori economici4.2 Gli indicatori da monitorare a livello economico5. La prospettiva finanziaria5.1 Le aree critiche del rendiconto finanziario5.2 L’impatto della crisi sugli indicatori finanziari5.3 Gli indicatori da monitorare a livello finanziario

1. Manifestazione della crisi e ruolo dell’analisi di bilancio

L’analisi di bilancio gioca un ruolo di primo piano per accertare lo «stato di avanzamento» della crisi e pone in luce alcune correlazioni che possono essere utili per dar corso ad azioni di risanamento. In via propedeutica, è opportuno che l’analisti consideri i seguenti temi:

  1. la qualità dei dati contabili;
  2. la scelta del set di indicatori;
  3. la comparabilità dei dati sul piano storico e settoriale.

In primo luogo, è necessario avviare una riflessione sulla qualità dei dati contabili. Non è infatti infrequente che, nei periodi antecedenti al conclamarsi di uno stato di crisi, gli amministratori incoraggino un maquillage del bilancio per rendere meno evidente una situazione di tensione, che potrebbe allarmare o, comunque, mettere sulla difensiva il sistema bancario e i fornitori. Si tratta, ben inteso, di un rischio potenziale, che deve essere giudicato con estrema attenzione.

Le fattispecie cui prestare maggiore attenzione sono le seguenti:

  • incrementi di costi capitalizzati, soprattutto tra le immobilizzazioni immateriali;
  • valore delle partecipazioni sensibilmente e immotivatamente più elevato rispetto a quello che emergerebbe dall’applicazione del metodo del «patrimonio netto»;
  • fondo svalutazione crediti o perdite su crediti di modesta entità, rispetto all’ageing dei medesimi, soprattutto quando la dilazione concessa eccede significativamente quella mediamente riscontrabile nel passato;
  • significativo incremento delle rimanenze, a parità di volume di affari.

Inoltre, l’analisi di bilancio è tanto più efficace per accertare la gravità di uno stato di crisi, quanto più essa è fondata su dati aggiornati. Qualora l’indagine avvenga in tempi non prossimi alla chiusura dell’ultimo esercizio, è bene far predisporre un bilancio infrannuale completo che assicuri un feed-back aggiornato e tempestivo.

In secondo luogo, entrando più nel merito dell’analisi vera e propria, è preferibile selezionare un ridotto numero di indici, purché essi siano significativi e sintetizzino al meglio i rapporti più sintomatici tra le dinamiche patrimoniali, economiche e finanziarie. Ciò anche in considerazione del fatto che il modello interpretativo, per essere effettivamente utile, deve risultare di immediata applicazione.

In terzo luogo, tali indici devono essere letti in una prospettiva storica. Occorre cioè non limitarsi all’esame della situazione più recente, ma ampliare l’angolo visuale considerando l’evoluzione che i dati hanno avuto nel corso del tempo, al fine di riscontrare elementi utili a spiegare la genesi e l’evolversi della crisi. Allo stesso tempo, sempre in un’ottica comparativa, i dati devono essere messi a confronto con quelli del settore, al fine di accertare se l’impasse sia esclusivamente ascrivibile all’impresa target o se, invece, coinvolga il comparto.

2. L’analisi delle prospettive

Per quanto la gestione debba essere interpretata in una chiave unitaria, l’analisi di bilancio può essere approfondita a più livelli, ciascuno dei quali fornisce una diversa informazione secondo la prospettiva che gli è propria:

  • patrimoniale;
  • finanziaria;
  • economica.

Per quanto è solo attraverso una lettura congiunta delle varie dinamiche che si perviene ad un giudizio globale e coerente, è possibile, per ciascun ambito, identificare le variabili da controllare con maggiore attenzione e delineare, sulla base di queste, possibili drivers di intervento.

 3. La prospettiva patrimoniale

Come si presenta, da un punto di vista patrimoniale, il bilancio di un’impresa in crisi? Per quanto non si semplice generalizzare, vi sono alcune costanti ricorrenti:

  • la contrazione del volume di affari può causare una riduzione delle attività circolanti; i crediti diminuiscono in proporzionalmente al fatturato (salvo la presenza di situazioni «incagliate») e altrettanto avviene per gli acquisti di materie prime e di semilavorati;
  • gli investimenti in attività non correnti possono subire un rallentamento (se non un vero e proprio stop); la battuta di arresto nella fisiologica rotazione degli assets rischia sovente di provocare obsolescenza e, conseguentemente, una perdita complessiva di efficienza sul piano gestionale;
  • le disponibilità liquide si assottigliano e cresce il fabbisogno finanziario, soprattutto per fare fronte agli impegni di breve periodo;
  • i debiti finanziari tendono ad aumentare e non sempre vi è il modo o la possibilità di selezionare le fonti più adeguate in un’ottica di medio termine; non è infatti raro che siano sottoscritti finanziamenti onerosi e a breve scadenza per arginare le esigenze temporanee, senza un’adeguata riflessione sull’impatto che questi potranno produrre sulle dinamiche complessive;
  • può essere più complesso rispettare le scadenze con i fornitori, con un conseguente peggioramento delle condizioni di approvvigionamento (sulle quantità, sulle forme di pagamento, sulle garanzie richieste);
  • il margine di contribuzione unitario tende a diminuire e non è scontato assicurare costantemente la copertura dei costi fissi; peraltro, l’eventuale taglio dei costi trova sfogo, solitamente, sugli investimenti strutturali e sul personale, minando così, in modo ancora maggiore, il ciclo gestionale.

Il rapido concatenarsi degli eventi innesca talvolta una spirale che assume una velocità sempre maggiore e che, superata una certa soglia, è difficilmente governabile. Un attento monitoraggio della situazione patrimoniale non scongiura evidentemente questo rischio, ma permette di coordinare le politiche di intervento secondo una logica coerente e volta a salvaguardare al meglio l’operatività dell’azienda. In particolare, è consigliabile approfondire più nel dettaglio:

  1. l’analisi della liquidità;
  2. l’analisi della solidità;
  3. gli indicatori da monitorare a livello patrimoniale.

3.1 L’analisi della liquidità nelle imprese in crisi

L’analisi della liquidità, si ricorda, è finalizzata ad evidenziare la capacità di fare fronte agli impegni di breve periodo, rappresentati da debiti di funzionamento e di finanziamento, attraverso l’utilizzo del capitale circolante, costituito da disponibilità liquide, crediti e rimanenze.

In particolare, è opportuno esaminare con maggior dettaglio i seguenti ambiti:

  • analisi degli equilibri a breve;
  • analisi del ciclo commerciale;
  • analisi del ciclo finanziario.

Analisi degli equilibri a breve

Gli equilibri a breve possono essere esaminati attraverso:

  • il margine di tesoreria e il correlato indice di liquidità;
  • il capitale circolante netto e il correlato indice di disponibilità.

Il margine di tesoreria, si ricorda, serve ad evidenziare la capacità di far fronte agli impegni di breve periodo con le risorse disponibili ed è giudicato positivamente quando è maggiore di zero. Quando invece esso è negativo significa che, in caso di richiesta di rientro delle somme dovute a fornitori e finanziatori, l’impresa non è in grado di assolvere al proprio impegno.

Il capitale circolante netto (CCN) è un margine che presenta caratteristiche similari a quello di tesoreria, ma considera fra le attività correnti anche le rimanenze. Valori maggiori di zero indicano capacità di creare liquidità e pertanto di assolvere alle obbligazioni assunte; valori inferiori attestano invece una situazione di impasse finanziario.

I margini in questione devono essere interpretati alla luce delle caratteristiche del business, perché possono esservi casi in cui i risultati differiscono anche in modo significativo rispetto alla soglia teorica di riferimento.

Analisi del ciclo commerciale

Il ciclo commerciale riguarda le dinamiche inerenti all’incasso dei crediti, al pagamento dei debiti e alla rotazione delle rimanenze; esso è strettamente correlato alle attività svolte e cambia da business a business in base alle politiche commerciali che ne regolano i rapporti.

In linea di massima, si raggiunge la migliore efficienza quando i tempi di incasso sono più brevi rispetto a quelli di pagamento; questo permette di creare la liquidità necessaria per fare fronte ai propri impegni garantendo un margine di sicurezza. La scelta, tuttavia, è solo in parte dipendente dalla volontà del management e la conoscenza del ciclo commerciale è utile per gestire consapevolmente i rapporti con i vari stakeholders e suddividere adeguatamente le scadenze.

Il ciclo commerciale può essere scomposto in tre componenti elementari:

  • i giorni di dilazione media concessa ai clienti (turnover dei crediti);
  • i giorni di dilazione media ottenuta dai fornitori (turnover dei debiti);
  • la giacenza media delle rimanenze (turnover delle rimanenze).

La somma algebrica definisce la durata media del ciclo commerciale. Più breve è la durata, maggiori sono i cicli produttivi che un’impresa può svolgere in un anno e, pertanto, più elevato è il suo turnover complessivo. Più estesa, è la durata, invece, maggiore è il rischio di soffrire di «affanno finanziario», che tende ad amplificarsi in presenza di una congiuntura negativa.

Per quanto sia difficile generalizzare, è frequente che una crisi inneschi una contrazione del volume di affari e della liquidità, e non necessariamente in questo ordine, producendo contraccolpi con un «effetto domino» su tutto il ciclo produttivo.

Analisi del ciclo finanziario

Il ciclo finanziario risente rapidamente del peggioramento del ciclo commerciale, in quanto esso rappresenta il «motore» che innesca il movimento di moneta: il pagamento dei dipendenti, il rimborso di un mutuo, la corresponsione delle imposte, ecc. dipendono sempre, in ultima istanza, dalla capacità di creare liquidità nel core business. L’ammontare della liquidità e la sua variazione nel tempo costituiscono, infatti, importanti segnali sull’andamento complessivo della gestione.

In particolare, in una situazione di crisi, occorre tenere sotto controllo alcuni indicatori che correlano l’ammontare della liquidità corrente (ciclo finanziario attivo) e dei debiti finanziari (ciclo finanziario passivo) ad altre grandezze di bilancio. Più nel dettaglio, si segnalano:

  1. l’incidenza della liquidità sugli investimenti;
  2. il coverage del ciclo commerciale;
  3. il coverage dei ricavi;
  4. il coverage dei debiti finanziari a breve termine;
  5. l’intensità dei debiti finanziari a breve.

3.2 L’analisi della solidità nelle imprese in crisi

L’analisi della solidità è essenzialmente finalizzata ad investigare le condizioni di equilibrio ai vari livelli della gestione. Per solidità, nel caso di un’impresa in crisi, si intende l’attitudine a presentare una struttura equilibrata in rapporto alle caratteristiche del contesto competitivo e in relazione ai seguenti aspetti:

  • composizione delle fonti;
  • correlazione tra impieghi e fonti;
  • correlazione tra fonti e redditività.

Composizione delle fonti

La composizione delle fonti è finalizzata ad investigare l’equilibrio fra mezzi interni ed esterni; dal momento che esso è strettamente dipendente dalle caratteristiche del business, è imprescindibile il riferimento ai dati settoriali. In particolare, nelle imprese che presentano uno stato di crisi, è opportuno monitorare costantemente:

  1. l’indice di autonomia finanziaria;
  2. il rapporto debt/equity (D/E).

L’indice di autonomia finanziaria, si ricorda, è dato dal rapporto fra patrimonio netto e totale delle fonti; esso evidenzia quanta parte degli investimenti è complessivamente coperta da mezzi propri e, pertanto, esprime il livello di autosufficienza di una società.

Per quanto le politiche di indebitamento dipendano in buona parte dalle caratteristiche del settore, dal livello degli investimenti mediamente richiesti e dal loro turnover, è probabile che il livello di autonomia finanziaria sia alquanto contenuto.

Superato un certo stadio critico della crisi, è ipotesi frequente che l’elevato indebitamento non serva tanto a finanziare gli investimenti, quanto a ripagare il debito precedentemente assunto, innescando così un «loop» estremamente rischioso per la sopravvivenza stessa dell’impresa.

Il rapporto debt/equity (D/E) si origina dal confronto tra la posizione finanziaria netta e il patrimonio netto e indica quante volte i finanziamenti netti a titolo oneroso siano superiori ai mezzi propri; maggiore è il risultato del rapporto, più elevata è l’esposizione nei confronti dei terzi.

Correlazione tra fonti e redditività

La leva finanziaria, ovvero il ricorso all’indebitamento, rappresenta per un’impresa il volano per ampliare il proprio giro di affari e per raggiungere determinati livelli di fatturato. È dunque evidente che, almeno fino ad un certo punto, i mezzi di terzi rappresentano una risorsa imprescindibile per incrementare le potenzialità di sviluppo e per assicurare una soddisfacente redditività. Superata una certa soglia, tuttavia, tale leva produce un effetto perturbativo.

Esiste infatti un limite fisiologico al di là del quale il finanziamento esterno riduce la sua spinta propulsiva ed erode la marginalità economica per effetto degli oneri. Conseguentemente, l’imprenditore deve monitorare con attenzione il rapporto che esiste tra indebitamento e ricavi e tra risultati operativi e costi finanziari.

A tal fine, è opportuno tenere sotto osservazione l’indice di intensità del finanziamento, che esprime il livello di indebitamento necessario per realizzare un determinato fatturato. Più elevato è il valore risultante, maggiore è la necessità di ricorrere all’indebitamento per sostenere i ricavi delle vendite. Tale indice assume particolare rilevanza se esaminato in una progressione temporale, al fine di accertare se esiste una proporzionalità fra dinamica dei ricavi ed evoluzione dell’indebitamento.

Nello specifico, se i debiti finanziari e i ricavi netti variano nella stessa misura, l’indice di intensità del finanziamento resta inalterato. Se invece i ricavi netti si incrementano più velocemente dei debiti, l’incidenza degli oneri finanziari si riduce, così come anche l’indice di intensità del finanziamento. Infine, se i ricavi netti si incrementano meno velocemente dei debiti, l’incidenza degli oneri finanziari aumenta, così come anche l’indice di intensità del finanziamento.

3.3 Gli indicatori da monitorare a livello patrimoniale

Nell’ambito della crisi d’impresa esistono, a livello patrimoniale, alcuni indicatori che è necessario monitorare con estrema attenzione. In particolare, essi riguardano le seguenti aree:

  • gestione operativa non corrente;
  • gestione operativa corrente;
  • gestione finanziaria complessiva;
  • gestione finanziaria corrente.
AreaDriver e soglie ottimali
Gestione operativa non corrente(PN + Pnc – Anc) > 0
Gestione operativa correnteCCNop > 0
Gestione finanziaria complessivaPN / Totale fonti > 50%
Gestione finanziaria correnteFCOC – Debiti fin. – Oner fin. > 0

La gestione operativa non corrente rileva principalmente ai fini dell’equilibrio fonti/impieghi: i drivers da monitorare sono il patrimonio netto (PN), le passività non correnti (Pnc) e le attività non correnti (Anc). Nel caso in cui PN e Pnc siano superiori a Anc, si raggiunge uno stato di equilibrio in quanto una parte del ciclo gestionale a breve è finanziato con fonti a scadenza più lontana nel tempo.

La gestione operativa corrente vede come driver i principali componenti del capitale circolante operativo netto (CCNop), vale a dire rimanenze, crediti e passività commerciali. Un valore superiore a zero sottintende la capacità dell’impresa di far fronte ai propri impegni.

La gestione finanziaria complessiva è sintetizzata dall’indice di autonomia, che evidenzia il peso del patrimonio netto rispetto al totale delle fonti. Una soglia pari almeno al 50% denota una buona capacità di coprire gli investimenti con mezzi propri e attesta, indirettamente, la volontà di generare autofinanziamento.

La gestione finanziaria corrente vede come driver il flusso di cassa operativo corrente (FCOC), i debiti e gli oneri finanziari. Se il FCOC assicura il pagamento degli interessi passivi e il rimborso del capitale preso a prestito, significa che l’azienda presenta una struttura gestionale proporzionata alle fonti di finanziamento a titolo oneroso.

 4. La prospettiva economica

L’analisi del Conto economico mira a verificare l’attitudine dell’impresa a produrre un reddito sufficiente a coprire i costi, a generare profitti e a remunerare il capitale investito ad un tasso che sia adeguato rispetto ai seguenti fattori: rischio operativo; livello di indebitamento; ammontare e qualità del capitale; contesto di riferimento; andamento economico generale; orizzonte temporale.

A livello di Conto economico, solitamente, una crisi produce (e al contempo determina) le seguenti conseguenze:

  • maggiore assorbimento dei ricavi;
  • contrazione dei ricavi e del reddito.

4.1 L’impatto della crisi sugli indicatori economici

In una situazione di crisi avviene sovente che parte degli indicatori economici presenti un valore negativo a causa delle perdite che possono manifestarsi a livello complessivo della gestione o a livello di aggregati intermedi. Dal momento che un indice che esprime un risultato inferiore a zero non ha alcun significato sul piano interpretativo, è probabile che non sia possibile determinare tutti i rapporti. Tanto premesso, occorre approfondire:

  • l’analisi della redditività;
  • l’analisi delle coperture.

Analisi della redditività

L’analisi della redditività mira sostanzialmente a verificare se la gestione caratteristica di un’impresa presenta condizioni di equilibrio tra risultato economico ed investimento effettuato.

In tal senso, può essere utile esaminare come i tradizionali indicatori economici tendono a modificarsi per effetto di una crisi.

Il return on equity (ROE), pari al rapporto tra risultato dell’esercizio e patrimonio netto, misura la remunerazione del capitale apportato dai soci e, indirettamente, riflette la rischiosità legata all’investimento. In un’impresa in crisi il ROE è solitamente negativo, in quanto il primo margine ad essere eroso in una fase di congiuntura sfavorevole è proprio il reddito di esercizio. Tale circostanza, di per sé, non deve essere necessariamente interpretata come un dato allarmante, soprattutto se esistono prospettive di turnaround nel breve termine e se l’ammontare della perdita non è rilevante in proporzione alle dimensioni aziendali.

Il return on assets (ROA), pari al rapporto tra il margine operativo netto (MON o Ebit, Earning Before Interests and Taxes) e il totale delle attività, esprime la capacità del risultato operativo di remunerare la totalità degli investimenti effettuati. Se tale rapporto è positivo significa che la gestione caratteristica opera in condizioni di efficienza e che le fonti della crisi, a livello economico, debbono essere imputate a cause finanziarie o straordinarie. Se invece il rapporto è negativo, la gestione caratteristica non è dotata di adeguata autosufficienza e occorre implementare in tempi rapidi politiche di turnaround volte al recupero della redditività del core business.

Il return on sales (ROS), pari al rapporto tra Ebit e ricavi, esprime la redditività delle vendite, vale a dire quanta parte del fatturato è assorbita dalla gestione operativa e, pertanto, quanto ne residua per fare fronte ai proventi e agli oneri delle altre aree gestionali. Il ROS segna uno spartiacque critico. Se la gestione operativa ha assorbito risorse in eccesso a quelle consentite dal livello di fatturato, i ricavi possono non essere sufficienti a soddisfare le esigenze delle altre aree gestionali, con la conseguenza di compromettere anche il risultato economico finale.

Il turnover, pari al rapporto tra ricavi e capitale operativo investito netto (COIN), evidenzia la capacità di sfruttare al meglio gli investimenti effettuati e fornisce un dato che deve essere posto a confronto con quello dei diretti competitors. Nelle imprese in crisi tale rapporto può essere condizionato da due circostanze. Da un lato, gli investimenti tendono a ridursi per effetto della contrazione della liquidità e del più difficile accesso al mercato del credito; dall’altro, la struttura aziendale tende a perdere efficienza nel sinergico e proficuo utilizzo delle risorse.

Il return on debt (ROD), pari al rapporto tra gli oneri finanziari e i debiti finanziari, esprime il costo medio del capitale preso a prestito a titolo oneroso. Nelle imprese che versano in stato di crisi il costo del capitale di terzi tende ad aumentare per effetto delle disposizioni introdotte da Basilea, dal momento che una congiuntura negativa provoca un peggioramento del rating presso il sistema creditizio e un conseguente innalzamento dei tassi di interesse.

Analisi delle coperture

L’analisi delle coperture serve sostanzialmente a verificare l’attitudine dei risultati economici a fronteggiare gli impegni assunti con le banche, vale a dire la capacità di restituire il capitale e corrispondere gli interessi.

In tale ambito è opportuno monitorare con attenzione l’indice di copertura degli oneri finanziari, che è pari al rapporto tra MOL o Ebitda (Earning Before Interests, Taxes, Depretiation and Amortization) e oneri finanziari e che esprime il grado di copertura che ad essi è fornito dal risultato operativo lordo. Si tratta comunque di una disponibilità indicativa, dal momento che lo sfasamento tra manifestazione finanziaria ed economica rende il MOL solo parzialmente idoneo ad evidenziare la capacità di soddisfare i finanziatori esterni.

4.2 Gli indicatori da monitorare a livello economico

Le politiche di turnaround dipendono in parte dalle potenzialità interne all’azienda e in parte dalle caratteristiche del contesto competitivo. Per tale ragione non esistono preordinati meccanismi di intervento volti a migliorare le dinamiche reddituali. Cionondimeno, è bene monitorare con attenzione alcune relazioni inerenti alle seguenti aree:

  • redditività operativa;
  • redditività ordinaria;
  • redditività delle vendite;
  • rotazione delle attività;
  • limite di indebitamento.
AreaDriver e soglie ottimali
Redditività operativaEbit > 0
Redditività ordinariaEbit – Oneri fin. > 0
Redditività delle venditeEbit/Ricavi > 0
Rotazione delle attivitàRicavi -Totale Attività > 0
Limite di indebitamentoROI – ROD = 0

La redditività operativa esprime l’autosufficienza di un’impresa e la capacità di affrontare autonomamente la crisi. Nel breve periodo tale relazione può essere minore di zero, ma deve trattarsi di una circostanza temporanea. Infatti, il processo di turnaround deve consentire un rapido recupero di competitività, che si manifesta proprio a partire dalla gestione operativa.

La redditività ordinaria, nelle situazioni di crisi, è sovente compromessa a causa dell’incidenza degli oneri finanziari. Essa deve essere interpretata anche alla luce del rapporto di indebitamento, vale a dire della proporzione tra mezzi propri e mezzi di terzi; laddove questi ultimi siano marcatamente superiori, una parte significativa del fatturato è costretta a lavorare al servizio del debito.

La redditività delle vendite esprime il livello dell’efficienza aziendale, ovvero la parte residuale dei ricavi non assorbita dalla gestione corrente. Negli stati di crisi, tende a manifestarsi un’incidenza dei costi operativi più che proporzionale a causa delle distonie gestionali che una situazione di impasse generalizzata comporta.

La rotazione delle attività misura la capacità di ricostruire il capitale investito per effetto dei ricavi. Un elevato turnover produce un effetto volano sulle dinamiche aziendali, in quanto assicura una buona propensione a «far girare» gli investimenti.

Infine, il limite di indebitamento è tenuto sotto controllo dalla relazione fondamentale della formula della leva finanziaria; qualora la redditività degli investimenti operativi sia superiore al costo sostenuto per finanziarla, esiste margine di manovra per un ulteriore indebitamento. In una situazione di crisi è necessario monitorare attentamente tale relazione; nel caso di ROA negativo, significa che l’impresa sostiene una struttura finanziaria più onerosa rispetto a quella che è in grado di permettersi, con il rischio (non remoto) di innescare «loop» che possono condurre a condizioni di irreversibili impasse finanziari.

5. La prospettiva finanziaria

Il flusso di cassa può essere definito come il saldo fra le entrate e le uscite della gestione riferite ad un certo arco temporale, solitamente rappresentato da un esercizio amministrativo.

Se le entrate sono maggiori delle uscite, si è in presenza di un flusso positivo. Esso indica che l’azienda è in grado di realizzare e distribuire un beneficio grazie al suo ciclo gestionale; la produzione di liquidità rappresenta infatti la linfa vitale per remunerare coloro che apportano il capitale (proprio e di terzi) e per alimentare nuovi investimenti. Nel caso invece in cui le uscite siano maggiori delle entrate, l’azienda non produce sufficiente liquidità; per fare fronte ai propri impegni deve pertanto attingere a nuovi mezzi finanziari o cedere parte degli impieghi.

Dal momento che un’impresa in crisi soffre principalmente di mancanza di liquidità, la conoscenza delle dinamiche finanziarie permette di individuare le aree che drenano mezzi monetari e attivare politiche di intervento adeguate.

5.1 Le aree critiche del rendiconto finanziario

le aree da monitorare sono le seguenti:

  • il capitale circolante netto operativo;
  • il flusso di cassa operativo.

Il capitale circolante netto operativo

Nelle imprese in crisi il CCNop è soggetto a subire un incremento, in quanto, tendenzialmente, la liquidità generata dal circolante è inferiore rispetto a quella assorbita. Pur essendo complesso generalizzare, è possibile delineare, in un contesto produttivo, le dinamiche delle poste che compongono il CCNop ipotizzando una situazione di tensione finanziaria mediamente avanzata.

Il primo passo, sovente, si manifesta nel ritardato pagamento dei debiti verso il sistema bancario, verso i fornitori e verso le amministrazioni dello Stato (erario e enti previdenziali). Oltre una certa soglia, che varia in funzione della dimensione aziendale e del settore, scattano segnali di allarme che portano i creditori a esigere gli importi dovuti, con conseguenze sul piano operativo facilmente ipotizzabili.

I fornitori possono ridurre o sospendere l’approvvigionamento di merci. Ciò comporta immediatamente una contrazione delle rimanenze e, in seconda istanza, determina un calo della produzione che si traduce, in termini economici, in una riduzione del fatturato. Dal momento che l’impresa deve comunque sostenere un determinato volume di costi fissi, il MON subisce una riduzione più che proporzionale rispetto a quella dei ricavi; tale circostanza produce una contrazione della liquidità complessiva.

Il sistema bancario, da parte sua, può chiedere il rientro dell’affidamento concesso o ridurre drasticamente le linee di credito eventualmente sottoutilizzate. Ciò, oltre a implicare una riduzione di mezzi finanziari, rende più complesse le normali operazioni commerciali (presentazione di ricevute bancarie, di effetti allo sconto, ecc.) che permettono di anticipare una parte della liquidità. È comunque opportuno evidenziare che i debiti finanziari non influiscono sul CCNop, in quanto sono compresi nella «parte bassa» del rendiconto finanziario (cioè nel flusso di cassa al servizio del debito).

Il mancato pagamento di contributi e imposte produce automaticamente l’applicazione di sanzioni e interessi che incrementano ulteriormente l’esposizione nei confronti delle amministrazioni dello Stato.

I crediti verso clienti, oltre a ridursi per il fisiologico venir meno di fatturato, potrebbero essere riscossi con maggiore difficoltà, dal momento che gli equilibri dei tradizionali rapporti commerciali tendono a deteriorarsi.

Il quadro testé delineato, per quanto semplicistico nei vari passaggi, tratteggia un possibile sviluppo di una situazione di crisi sulle poste del CCNop: il risultato, in ultima analisi, si sostanzia in una forte contrazione di liquidità e nella difficoltà di attingere risorse dall’esterno.

Il flusso di cassa operativo

Per pervenire al flusso di cassa operativo (FCO) occorre calcolare la variazione degli investimenti in attività materiali e immateriali. Se il FCO ha saldo positivo, significa che l’impresa crea liquidità a livello di gestione operativa e che è dunque in grado di far fronte ad ulteriori uscite legate ad operazioni che riguardano altre aree gestionali. Se il saldo è invece negativo, si palesa un fabbisogno finanziario, che attesta l’incapacità di svolgere la gestione in condizioni di equilibrio.

In un’impresa in crisi, solitamente, è più probabile prevedere una dismissione piuttosto che un incremento di assets. Uno dei primi tentativi volti a contenere il drenaggio di liquidità sul fronte del circolante consiste proprio nel cedere gli investimenti non strategici, se ve ne sono, e comunque ad alleggerire la struttura aziendale, anche per contenere gli effetti della riduzione di fatturato.

Il processo di dismissione può essere reso complesso dal timore di azioni revocatorie in ipotesi di una situazione pre-fallimentare. In ogni caso, anche qualora ne esistano le condizioni, il potere negoziale di un’impresa in stato di crisi è alquanto ridotto ed è raro che uno spin-off produca, sul piano della liquidità, risultati analoghi a quelli di un’impresa in bonis.

5.2 L’impatto della crisi sugli indicatori finanziari

L’interpretazione delle dinamiche finanziarie rappresenta probabilmente l’aspetto più critico dell’intero processo di analisi di bilancio delle imprese in crisi; la possibilità o meno di dare vita a politiche di turnaround è infatti legata alla capacità di creare flussi di cassa positivi nelle varie aree della gestione.

In particolare, può essere utile tenere sotto osservazione i seguenti indicatori, già menzionati anche a proposito dell’esame della dimensione patrimoniale:

  • coverage del ciclo commerciale;
  • coverage dei debiti finanziari;
  • coverage del ciclo finanziario.

Il coverage del ciclo commerciale è determinato rapportando le disponibilità liquide al capitale circolante netto operativo ed esprime il rapporto tra la liquidità realizzata e quella potenziale, che residua dopo aver pagato i debiti operativi. Perché il rapporto sia significativo, occorre che il CCNop sia maggiore di zero.

Qualora il CCNop sia minore di zero, è presumibile che vi sia scarsa liquidità disponibile e che il saldo di conto corrente sia negativo, in quanto impiegato di finanziare le passività correnti; in tal caso, il calcolo dell’indice in questione avrebbe scarso rilievo.

Il coverage dei debiti finanziari a breve è calcolato attraverso il rapporto fra il flusso di cassa operativo corrente (FCOC) e i debiti finanziari con scadenza entro dodici mesi. Tale indicatore evidenzia se i flussi di cassa generati dalla gestione corrente siano sufficienti a rimborsare i debiti finanziari correnti o in quale percentuale la copertura possa essere garantita. In uno stato di crisi, solitamente, il FCOC è inferiore ai debiti finanziari a breve, a causa del potenziale squilibrio che può manifestarsi a livello di capitale di terzi.

Il coverage del ciclo finanziario consiste in un ampliamento del precedente indice, dal momento che vuole evidenziare la capacità di fare fronte al rimborso del capitale in scadenza entro 12 mesi e alla corresponsione degli oneri finanziari ad esso correlati, attraverso il flusso di cassa generato dalla gestione caratteristica (FCO). Se tale rapporto è maggiore di zero, significa che l’impresa realizza sufficienti cash flow operativi per soddisfare il fabbisogno finanziario legato al rimborso del capitale di terzi.

5.3 Gli indicatori da monitorare a livello finanziario

A livello finanziario è opportuno monitorare le dinamiche legate alle seguenti aree:

  • autofinanziamento operativo;
  • gestione operativa corrente;
  • gestione operativa non corrente;
  • gestione finanziaria.
AreaDriver e soglie ottimali
Autofinanziamento operativo(PN + Pnc – Anc) > 0
Gestione operativa correnteFCOC > 0, CCNop  > 0, CCNn < CCNn-1
Gestione operativa non correnteFCO > 0, COINn < COINn-1
Gestione finanziariaFCO > (Debiti fin. + Oner fin.)

A livello di gestione operativa corrente, la dinamica della liquidità è legata al capitale circolante netto operativo. Anzitutto, esso deve essere superiore a zero; ciò indica che le attività correnti (principalmente crediti e rimanenze) sono superiori alle passività correnti (debiti di funzionamento) e testimonia la capacità di fare fronte ai propri impegni a breve. In aggiunta, è opportuno che il CCNop, in un’ottica di turnaround, tenda a ridursi nel tempo, in quanto è indice di creazione di liquidità.

A livello di gestione operativa complessiva, un FCO positivo evidenzia che la gestione aziendale è complessivamente in equilibrio. Sempre in un’ottica di turnaround, è opportuno che il valore del capitale operativo investito netto (COIN) diminuisca nel corso del tempo, poiché anche questo è un segnale di generazione di liquidità.

Infine, sotto il profilo della gestione finanziaria, se il flusso di cassa operativo permette il rimborso dei debiti finanziari e il pagamento degli oneri ad essi associati, significa che l’impresa produce una liquidità sufficiente per garantire la remunerazione del capitale investito da parte degli azionisti.

Autore

Prof. Marco Fazzini
Ordinario di Economia Aziendale, Università Europea di Roma
Dottore commercialista
Keywords: analisi di bilancio, crisi d’impresa, prospettiva patrimoniale, prospettiva finanziaria, prospettiva economica.