Indice: 1. Finalità dell’analisi della solidità – 2. La composizione degli impieghi – 3. La composizione delle fonti – 4. La relazione tra fonti e redditività – 5. La relazione tra impieghi e redditività
1. Finalità dell’analisi della solidità
L’analisi della solidità è finalizzata ad investigare le condizioni di equilibrio ai vari livelli della gestione. Per solidità si intende l’attitudine di una azienda a presentare una struttura equilibrata in rapporto alle caratteristiche del settore e in relazione ai seguenti aspetti:
- composizione degli impieghi;
- composizione delle fonti;
- relazione tra fonti e redditività.
- relazione tra impieghi e redditività;
2. La composizione degli impieghi
La composizione degli impieghi mira ad esaminare la struttura del capitale investito ed è finalizzata a verificare il peso percentuale delle attività rispetto al totale. Il dato ottenuto, di per sé è poco significativo e per essere apprezzato deve essere posto a confronto con le medie di settore.
Gli indici di composizione degli impieghi (classificati in un’ottica finanziaria) sono ottenuti rapportando “attivo non corrente” e “attivo corrente” al totale delle attività:
Il risultato è espresso in termini percentuali ed indica quanta parte del patrimonio è vincolata per impieghi duraturi e quanta è invece destinata alla gestione circolante.
3. La composizione delle fonti
La composizione delle fonti è finalizzata ad approfondire la struttura finanziaria di una società, ovvero come essa finanzia i propri investimenti ricorrendo a capitale proprio e di terzi; dal momento che tale proporzione è strettamente legata alle caratteristiche del business, l’esame dell’equilibrio finanziario non può prescindere da un confronto con i comparables di settore.
Gli indici di composizione delle fonti sono determinati rapportando l’ammontare delle singole fonti al loro totale:
Il risultato è espresso in termini percentuali ed evidenzia:
- a quanto ammonta il capitale proprio (patrimonio netto) rispetto ai mezzi di terzi (passività correnti e non correnti);
- a quanto ammontano le fonti di lungo periodo (patrimonio netto e passività non correnti) rispetto a quelle di breve (passività correnti).
Con specifico riferimento all’indice di autonomia finanziaria, dato dal rapporto fra patrimonio netto e totale delle fonti, è evidenziato il livello di autosufficienza di una società. Più elevato è l’indice, maggiore è l’indipendenza dai finanziatori esterni, ma è alquanto complesso definire in termini assoluti una soglia ottimale di riferimento. Le politiche di indebitamento dipendono in buona parte dalle caratteristiche del business, dal livello degli investimenti mediamente richiesti e dal loro turnover, dal posizionamento competitivo, dalla marginalità operativa, dalla fase di vita della società, etc. Evidenze empiriche testimoniano che possono esservi differenze anche rilevanti a seconda del settore ed è complesso definire un valore al di sotto del quale l’autonomia finanziaria possa essere giudicata compromessa.
L’autonomia finanziaria può essere esaminata anche attraverso il rapporto Debt/Equity (D/E), che si origina dal confronto tra la “posizione finanziaria netta” (PFN) (debt secondo la terminologia anglosassone) e il patrimonio netto (equity), così come risultano dallo Stato patrimoniale riclassificato secondo una logica funzionale:
Tale rapporto indica quante volte i finanziamenti netti siano superiori al patrimonio netto; maggiore è il risultato del rapporto, più elevata è l’esposizione nei confronti dei terzi. Pur essendo complesso generalizzare, l’equilibrio si ha quando il rapporto è pari all’unità, ovvero quando debt e equity sono pressoché similari. Anche in questo caso, tuttavia, non si può prescindere dalle caratteristiche del settore di riferimento.
4. La relazione tra fonti e redditività
La leva finanziaria, ovvero il ricorso all’indebitamento, rappresenta per un’impresa il volano per ampliare il proprio giro di affari e per raggiungere determinate soglie di fatturato. È dunque evidente che, almeno fino ad un certo livello, i mezzi di terzi rappresentano una risorsa imprescindibile per incrementare le potenzialità di sviluppo e per assicurare una soddisfacente redditività.
Esiste poi un limite fisiologico al di là del quale il finanziamento riduce la sua spinta propulsiva e erode la marginalità economica per effetto degli interessi passivi. Conseguentemente, occorre monitorare con attenzione il rapporto che esiste tra indebitamento e ricavi attraverso l’indice che misura l’intensità del finanziamento.
Esso è determinato attraverso il rapporto tra debiti finanziari e ricavi netti ed esprime il livello di indebitamento necessario per realizzare un dato livello di fatturato:
Più basso è il valore risultante, minore è la necessità di ricorrere ai terzi per sostenere i ricavi delle vendite.
5. La relazione tra impieghi e redditività
Lo svolgimento di un’attività richiede un determinato livello di investimenti, che varia in funzione del business e delle dimensioni aziendali. È auspicabile che, nel medio-lungo termine, il volume dei ricavi prodotti sia congruo rispetto a tali investimenti. Se non è così, è probabile che il management non sia in grado di sfruttare adeguatamente il capitale a disposizione o che esso sia sproporzionato rispetto alle esigenze operative.
In quest’ottica, è rilevante accertare quanti euro di vendite sono stati prodotti per ogni euro di attività investite nell’impresa. Per fare questo, occorre determinare il turnover del capitale, che è pari al rapporto tra ricavi netti e totale degli impieghi:
Più il turnover è elevato, migliore è l’utilizzo del capitale investito. Ad esempio, si ipotizzi che due imprese, A e B, presentino gli stessi impieghi, pari a 100 €; A ha però conseguito ricavi netti per 400 € e B per 550 €. Il turnover nel primo caso è pari a 4, nel secondo a 5,5: ciò significa che, per una serie di fattori (maggiore efficienza, strategie più coerenti, management più capace, ecc.), B ha saputo sfruttare le proprie attività in modo migliore di A.