Fiscalità internazionale

Stabile organizzazione occulta con criteri stretti

Di Enrico Holzmiller

Non si configura la presenza di una stabile organizzazione occulta nel caso in cui l’incidenza della casa madre si limiti ad un’attività di direzione e coordinamento. E’ questa la conclusione alla quale pervengono i giudici della CgT di secondo grado della Lombardia con la sentenza n. 57/2025 (presidente Secchi, relatore De Domenico).

La conclusione cui pervengono i giudici lombardi è solo apparentemente scontata. Innanzi tutto, la correlazione tra il concetto di direzione e coordinamento, che richiama una sfera tipica della governance, e quello di stabile organizzazione, non è banale, atteso che la sfera decisionale è attrattiva della residenza fiscale e quindi correlata al concetto di esterovestizione.

La sentenza quindi, seppur indirettamente, conferma il sottile diaframma che assumono i due concetti, perlomeno per come vengono messi a terra, in modo spesso non univoco, nel caso di verifiche fiscali.  

Nulla quaestio sulla differenza teorica tra stabile organizzazione e società esterovestita, nota agli addetti ai lavori: mentre la prima è una sede secondaria estera di società residente, l’esterovestizione identifica una società “autonoma”, formalmente residente all’estero ma da considerarsi italiana ai fini fiscali.

Se tuttavia la distinzione concettuale è chiara, nella pratica la distinzione tra le due fattispecie è più fluida. In particolare secondo la corrente giurisprudenziale (per la verità non consolidata) che identifica l’esterovestizione anche in assenza di fenomeni abusivi, ovvero anche nel caso in cui non vi sia la classica “scatola vuota” ma una organizzazione presente all’estero (vedasi, a titolo esemplificativo, le ordinanze di Cassazione n. 11709 e 11710 del 2022).

La sentenza in commento è interessante per valutare l’approccio dei giudici nel contesto appena definito che, si anticipa, trova il discrimine focalizzando l’attenzione non tanto sul PoEM (Place of Effective management), quanto sulla autonomia organizzativa della società estera rispetto all’organizzazione della controllante italiana, tale per cui l’incidenza decisionale di quest’ultima sulla branch si riduce “per differenza” ad una mera attività di D&C.

L’innesco della verifica fiscale parte dall’analisi della documentazione predisposta dalla società italiana in materia di Transfer pricing, dalla quale i verificatori evincono l’assenza di rischi in capo alla controllata estera (fornitrice di beni alla società italiana) oltre all’esistenza di una fee riconosciuta dalla prima alla seconda in relazione al volume di vendite raggiunto.

Le caratteristiche in capo alla branch straniera che hanno inciso sulla decisione dei giudici sono, in sintesi:

  • L’esistenza di un organigramma atto a provare il presidio sull’intero ciclo aziendale, sia con riferimento ai processi interni che esterni;
  • La prova della conclusione in via autonoma di contratti di acquisto di materie prime;
  • La gestione indipendente dei rapporti commerciali e contrattuali con il fornitore di energia elettrica, la cui incidenza rispetto agli altri costi di gestione risultava preponderante
  • La prova di una assenza di dipendenza finanziaria nei confronti della controllante italiana

Ne consegue, secondo la Commissione, che le attività gestionali effettuate dalla casa madre italiana si riducono, nei fatti, a quelle che a pieno titolo una capogruppo esercita sul proprio gruppo multinazionale, nell’ambito delle funzioni di direzione e coordinamento che alla stessa competono in funzione di tale ruolo.

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Autore

Dott. Enrico Holzmiller
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